In questo saggio cercherò di mostrare come da alcune considerazioni relative alle funzioni della cornice nei confronti di quel tipo peculiare di immagini che sono i quadri si possa arrivare a delle conclusioni più generali riguardanti lo statuto della rappresentazione pittorica e della rappresentazione in generale. La cornice, nelle sue diverse manifestazioni storiche, ha sempre esercitato nei confronti dell'immagine dipinta una serie di funzioni capaci di determinare profondamente la grammatica e la pragmatica dello sguardo che ad essa si rivolge: sottolineando la chiusura del confine che separa l'immagine dallo spazio circostante, la cornice focalizza lo sguardo dello spettatore e si propone come ornamento dell'immagine dipinta, legittimandola e conferendole autorità; rendendo l'immagine indipendente dal contesto, invita lo spettatore ad assumere una specifica modalità di visione. Le funzioni di delimitazione e decontestualizzazione, ornamento e legittimazione, invito e ingiunzione svolte dalla cornice costituiscono quindi un complesso che contribuisce a determinare profondamente lo statuto stesso della rappresentazione pittorica e dello sguardo che la contempla. Ecco dunque che il tema della cornice del quadro diviene la chiave d'accesso alle questioni più generali dei margini della rappresentazione e del significato di un atto di delimitazione che è al tempo stesso chiusura verso l'esterno e apertura alla fruizione: questioni che riguardano la natura del limite e della soglia intorno a cui ruota la relazione estetica, e luoghi filosofici in cui si incontra l'ambiguità delle distinzioni fra dentro e fuori, marginale e costitutivo, ornamento e complemento.
Facciamo allora un passo indietro e cominciamo con il prendere in considerazione la cornice nella sua accezione più letterale, intendendola cioè come cornice materiale del quadro. Essa protegge l'immagine dipinta sulla tela, la stabilizza, la rende facilmente trasportabile: l'immagine incorniciata è un'immagine mobile, che può essere spostata e inserita in luoghi e contesti diversi, nei quali, però, proprio a causa della cornice che la circonda, essa mantiene una certa autonomia. Tramite la cornice, l'immagine diviene così un oggetto trasportabile e capace di determinare almeno in parte, nei diversi contesti in cui verrà a trovarsi, le modalità del proprio esser-vista, letta, interpretata. In quanto risultato di un gesto intenzionale con cui l'immagine viene delimitata, separata dal contesto e rinchiusa in un contorno, la cornice sottolinea il confine che separa lo spazio della rappresentazione e della figurazione dallo spazio circostante, e costringe lo sguardo che transita uniformemente da una regione all'altra dello spazio a soffermarsi con attenzione di fronte a un'immagine che gli si propone come rappresentazione e messa in scena. In altre parole, la cornice impone allo sguardo 'ordinario' di trasformarsi in visione e contemplazione, e allo spettatore di porsi nei confronti dell'immagine in una relazione 'estetica', l'atteggiamento della fruizione, della valutazione, dell'interpretazione.
Nei confronti dello sguardo dello spettatore la cornice svolge dunque una funzione analoga a quella di un deittico, ossia di un segno la cui funzione è quella di mostrare, esibire, indicare. Essa concentra lo sguardo dello spettatore sull'immagine contenuta all'interno dei suoi confini, offrendola e mostrandola come oggetto degno di attenzione e sollecitando dallo spettatore stesso un abito di risposta adeguato. Queste funzioni deittiche e ostensive della cornice ci rinviano quindi a tutta la semantica dell'invito e dell'appello, dell'ingiunzione e dell'ammonimento: lo spettatore di fronte a un'immagine incorniciata è uno spettatore interpellato, chiamato a rispondere e a raccogliersi di fronte a un'immagine che gli si propone come isolata da tutti i fili che, in modo più o meno visibile, la legano all'ambiente circostante. Ecco dunque che quell'oggetto apparentemente marginale che è la cornice del quadro finisce per svolgere una funzione determinante nell'instaurazione dello spazio della rappresentazione pittorica e nella modalizzazione dello sguardo che ad essa si rivolge.
In gran parte della letteratura sulla cornice che prenderò in considerazione in questo saggio non è difficile constatare come il tema della cornice diventi la chiave d'accesso a questioni fondamentali come quelle dello statuto dell'opera d'arte e dell'ornamento, o della relazione tra spazio ordinario e spazio della finzione. Questo vale in particolare per due importanti saggi di Georg Simmel e di José Ortega y Gasset: "La cornice del quadro. Un saggio estetico" [Simmel 1997] e "Meditazione sulla cornice" [Ortega y Gasset 1997]. Nel primo, a partire da una fondamentale distinzione fra totalità e parte, ossia tra "un'esistenza a sé bastante, in sé conchiusa [...] determinata solo dalla legge della propria essenza" e "un membro in connessione con una totalità, dalla quale soltanto le proviene forza e senso", Simmel afferma che l'opera d'arte appartiene a quelle totalità autosufficienti, chiuse in sé e determinate solo dalla legge della propria essenza, quali sono l'anima, la personalità etica e l'opera d'arte.
La cornice, proprio in quanto capace di sottolineare la "chiusura incondizionata" dei confini dell'opera d'arte, svolge un ruolo essenziale in quanto "esclude l'ambiente circostante, e dunque anche l'osservatore, dall'opera e contribuisce a porla a quella distanza in cui soltanto essa diventa esteticamente fruibile". Essa colloca l'opera in una "posizione insulare" che sola ci consente di provare "quel sentimento di dono immeritato con cui l'opera ci rende felici [e che] sorge dall'orgoglio di questa compiutezza in sé soddisfatta, con cui essa tuttavia diventa nostra". Ecco dunque che secondo Simmel la cornice svolge un ruolo essenziale nei confronti dell'opera d'arte pittorica in quanto ne sottolinea quella condizione di chiusura e autosufficienza che, paradossalmente, è proprio la premessa che rende possibile un'istanza inaspettata di apertura, offerta e dono. La cornice chiude ed esclude, ma al tempo stesso invita: nel prosieguo del saggio, infatti, Simmel sostiene che essa andrebbe pensata come una finestra o come un ingresso, non tanto per rafforzare l'eventuale costruzione prospettica dell'immagine dipinta, quanto per convogliare lo sguardo all'interno del quadro, sottolineando la cesura che separa l'opera dal contesto ed esorcizzando ogni forma di "traviamento che nega l'esser per sé dell'opera d'arte" e il "pericolo di confondersi con l'ambiene circostante" .
Nel saggio di Ortega y Gasset il tema della cornice come momento di chiusura e delimitazione è visto non tanto come espressione della necessità di proteggere l'autonomia e la radicale alterità dell'opera dalla contaminazione con l'esterno, quanto come luogo del problematico passaggio dalla realtà alla finzione, soglia attraverso la quale lo sguardo accede alla dimensione dell'immaginario e dell'inverosimile: la cornice ha qualcosa della finestra, così come la finestra ha molto della cornice. Le tele dipinte sono buchi di idealità praticati nella muta realtà delle pareti : brecce di inverosimiglianza a cui ci affacciamo attraverso la finestra benefica della cornice [...] il quadro è un'apertura di irrealtà che avviene magicamente nel nostro ambito reale. Quando guardo questa grigia parete domestica, la mia attitudine è, per forza, di un utilitarismo vitale. Quando guardo il quadro, entro in un recinto immaginario e adotto un'attitudine di pura contemplazione. Sono, dunque, parete e quadro, due mondi antagonistici e senza comunicazione. Dal reale all'irreale, lo spirito fa un salto, come dalla veglia al sonno. L'opera d'arte è un'isola immaginaria che fluttua, circondata dalla realtà da ogni parte.
di Antonio Somaini